L’arte come strumento di consapevolezza – Keil Space 2025

Keil Space continua ad attrarre visitatori provenienti da ambiti molto diversi tra loro, accomunati dalla sensibilità verso l’esperienza artistica come forma di esplorazione interiore. Tra questi, anche la storica dell’arte Laura Di Giuseppe, ha recentemente visitato lo spazio, creando connessioni interessanti e valutando i processi di rilascio emotivo e di riequilibrio psico-fisico che l’esperienza di Keil Space può indurre. Colpita dalla qualità immersiva del percorso e dalla particolare atmosfera che si instaura tra ambiente, opera e osservatore, ha deciso di condividere un suo contributo scritto. Nel testo, Laura descrive la potenza simbolica ed evocativa di Keil Space, individuando nell’esperienza artistica proposta uno strumento capace di favorire stati di rilascio e consapevolezza che si avvicinano, per certi versi, a un atto terapeutico. Di seguito, il testo integrale della storica dell’arte:

 

Il Keil Space non è solo uno spazio espositivo, non è cioè un puro contenitore di quanto esposto, così come l’esperienza immersiva che si propone di offrire va oltre il coinvolgimento gestaltico dei sensi. Il valore aggiunto del Keil Space risiede nel rapporto che si viene a instaurare con la guida, che accompagna l’osservatore in un processo di creazione del percorso di visita, fornendo gli strumenti per la comprensione dei lavori ma allo stesso tempo lasciando ampi margini di libertà nella fruizione e nell’interpretazione degli stimoli visivi, olfattivi e uditivi cui si viene sottoposti, incoraggiando il confronto diretto con le opere e la partecipazione attiva. 

 

La visita al Keil Space si configura così come un’esperienza estetica unica nel panorama espositivo contemporaneo, lontana dalle modalità di fruizione massificatrici cui si è abituati e capace di suscitare riflessioni sul proprio rapporto con se stessi e col mondo attraverso l’arte. 

 

L’introduzione allo spazio espositivo avviene in maniera quasi rituale, vi si accede percorrendo una discesa, che diventa sempre più buia, fino a giungere nel seminterrato dell’edificio. La relazione tra questo spazio e il contesto urbano entro cui si inserisce è quindi basata sulla rottura, ci si lascia progressivamente il mondo esterno alle spalle per entrare in un ambiente sommerso nella penombra, le cui pareti scure, gli odori e i suoni accentuano la percezione di sospensione nel tempo all’interno di uno spazio altro. Il centro propulsore, il cuore attorno al quale sono organizzate le tre stanze in cui si articola il percorso, è costituito da tre pilastri, tre parallelepipedi grigio-scuri in dialogo con l’ambiente. Questi tre pilastri rappresentano tautologicamente i tre valori che hanno sostenuto il lavoro e la vita dell’artista. Le possibilità di indagare la relazione sensoriale tra individuo e spazio, che questi elementi scultoreo-architettonici rappresentano, possono ricordare per certi aspetti le ricerche di Robert Morris, che risentivano a loro volta delle riflessioni sulla centralità del corpo portate avanti in ambito performativo. Da qui si accede alla prima stanza, dedicata ai Bronzi della Prima Generazione. Girando attorno a Lovers ci si rende conto della complessità delle strutture compositive di Sam Keil, in cui pesi e contrappesi sono studiati attentamente dall’artista per rendere il dinamismo di un moto spiraliforme, scandito dall’alternanza dei pieni e dei vuoti che ne determinano il ritmo plastico nello spazio. Sono figure che presentano una forte componente gestuale nel modellato, spaziando da forme più arcaizzanti nella definizione schietta e geometrizzante dei volumi (come in Preghiera o Cavalli d’Acqua), a forme invece più fluide e smaterializzate – seppur sempre dai profili taglienti – dove la scomposizione dei piani apre le superfici a una maggiore integrazione in esse dello spazio circostante. È il caso delle numerose sculture di ballerini presenti nella stanza, le cui pose fortemente sbilanciate si configurano talvolta come dei veri e propri slanci del vuoto, riflettendo gli interessi per la musica e la danza dell’artista. Nella stanza dedicata alla Seconda Generazione di Bronzi il linguaggio cambia radicalmente, mostrando un certo allontanamento dall’influenza dell’artista Dame Elizabeth Frink, presso cui Sam Keil si è formata. Se nella Prima Generazione le sculture si aprivano ad includere lo spazio, in Sabre la patinatura e la riflettanza delle superfici ‘scolpiscono’ l’ambiente disegnando un percorso di ombre e luci, che dal passato traguarda il presente, per proiettarsi poi nel futuro. La forma geometrizzata di una lancia antica si offre in modo accuratamente studiato all’illuminazione artificiale, arrivando a ricreare non solo l’effetto visivo della luce solare ma soprattutto l’effetto psicologico, una sensazione di distensione emotiva che può avere qualche punto di contatto con le installazioni di Ólafur Elíasson. La visita culmina nell’ultima sala, dedicata alla Nuova Generazione, dove i suoni e gli odori che fino a quel momento costituivano lo sfondo di un’esperienza perlopiù visiva diventano importanti come coordinate per comprendere lo spazio entro cui ci si trova. 

 

L’osservatore viene lasciato solo in un processo di scoperta percettiva potenzialmente infinito, nel tentativo di decifrare ciò che sta osservando e di interrogarsi sulle emozioni suscitate da questo scenario straniante. Con i loro colori vividi e iridescenti, questi spazi trasportano l’osservatore in una dimensione cosmica.

 

Qui, attraverso l’utilizzo di tecnologie avanzate si ritorna all’origine del lavoro dell’artista, in una riaffermazione della sua fedeltà al bronzo e alle riflessioni sulla sua superficie che però si carica di nuovi significati e di nuove implicazioni estetiche e psicologiche.

 

Ringraziamo Laura Di Giuseppe per il suo prezioso contributo e invitiamo i lettori a fare esperienza di Keil Space, prenotando un appuntamento attraverso il sito keilspace.com