
Keil Space: Un Dono di Cura – Le opinioni della psicoterapeuta Rossella Renzini
Rossella Renzini è una psicoterapeuta e formatrice con oltre trent’anni di esperienza nella ricerca e nella pratica dell’empowerment e della psicoterapia. La sua visione nasce dall’incontro con le teorie dell’Esalen Institute e della scuola di Palo Alto, che hanno segnato profondamente il suo percorso accademico e professionale. Dopo una formazione in psicoterapia junghiana, ha lavorato con giovani in stato di tossicodipendenza, gruppi istituzionali e nella formazione universitaria e aziendale.
Il suo approccio integra l’esplorazione dell’inconscio con le dinamiche di gruppo, ispirandosi a tradizioni millenarie e a esperienze personali, tra cui la pratica dello yoga e viaggi di ricerca in India. Per Renzini, il cambiamento è una costante: il suo lavoro si basa sulla trasformazione personale e collettiva, aiutando individui e team a sviluppare consapevolezza e potenzialità in un mondo in continua evoluzione.
Dopo l’esperienza a Keil Space, Renzini ha scritto un testo che racconta la sua esperienza personale a Keil Space, nonché degli aspetti che lei trova terapeutici nella fruizione delle opere. Di seguito, si riporta il testo integrale della psicoterapeuta:
<< Arrivo pensando di vedere una normale mostra, ma già all’ingresso vivo un’esperienza che mi spiazza e nello stesso tempo mi accoglie morbidamente. C’è un manufatto, alla mia destra, che mi stupisce, un contenitore che risplende come oro, sormontato da antichi simboli sacri. La mia guida lo apre, ne trae noccioline e poi dell’acqua fresca, offrendomeli. “Qui i pellegrini vengono accolti”, ho pensato, e subito mi si è presentata alla mente l’immagine degli innumerevoli templi indiani visitati. Sembrava di iniziare un percorso iniziatico, spirituale.
Entro nella stanza colonnata, siamo in un sotterraneo con pochissima luce. Dei suoni ed un odore enigmatici mi invitano all’introspezione, nel profondo di quell’oscurità dove tutto cominciò nelle nostre vite e nell’universo. Come in un tempio di millenni fa o nell’ astronave di un futuro possibile, vedo colonne perfette, stabili e uno spazio molto ampio. Percepisco un senso di calma misto a un pizzico di inquietudine per un buio e ampio spazio, in cui riposare o stare all’erta.
Su di me il buio, la musica e quell’odore hanno un effetto seduttivo e rassicurante.
Questa esperienza apre un varco, un accesso al mio/nostro inconscio, a quella parte di esso che Jung chiamava inconscio collettivo, ed è a questo livello profondo che l’artista parla. Questa zona inconscia si trasforma e si allarga con il passare delle generazioni e nei millenni, come una sorta di rete neuronale che connette tutti gli esseri umani. In questo spazio psichico la nostra parte primitiva incontra le nostre potenzialità nel futuro, così come in questo spazio l’immagine di un’organica caverna semi buia incontra la perfezione architettonica tipica della tecnologia contemporanea. Mi sento in una specie di alterazione della coscienza, un po’ come in un sogno, o come dopo una respirazione profonda, e mi chiedo dove e come sarà il seguito.
La successiva stanza, quella dedicata alla Prima Generazione di Bronzi, mi spiazza. E’ come tornare alla realtà, bruscamente. Qui le sculture bronzee parlano di vita, di trasformazione e di forme futuribili antropomorfe, con elementi provenienti dalla natura. E poi l’Amore è al centro di quello spazio con “Lovers”, la divina unione tra il femminile e il maschile, il passaggio energetico dalla terra al cielo, verso l’alto e verso il domani, oltre l’umano. L’Amore unisce e trasforma, questo messaggio mi arriva potente, ed è fonte di vitalità psicologica. Credo che qui a Keil Space l’arte ponga domande proprio alla nostra capacità di stare in contatto con la sfera emozionale e sensoriale.
A soli 20 passi di distanza, giungo al cospetto di “Sabre”, della Seconda Generazione di Bronzi. E’ una lancia dorata che riflette la luce, un’opera bellissima e affascinante, che attraverso una manipolazione dell’illuminazione e una tecnica avanzata, produce una doppia ombra. Ombra e Luce, le piú importanti categorie primitive della psiche umana: l’oscurità è ciò di cui non abbiamo consapevolezza e la luce simbolo di chiarezza, energia interiore e spiritualità. Sabre rappresenta il conflitto tra queste due e allo stesso tempo la loro risoluzione.
Esco da questa stanza e la guida mi mostra tutti gli innumerevoli calcoli di fisica ottica fatti per costruire quell’ombra e quella luce speciali. Mentre spiegava, dentro di me agivano correnti emozionali e immagini profonde. Il silenzio è un momento importante per il contatto con un’opera d’arte come nel rapporto con se stessi, e l’arte è, può essere un tramite che ci consente di avvicinarci a noi stessi.
Entro nella successiva stanza, ancora immersa in questa dimensione di stupore e confusione. Mi siedo e cambia immediatamente il mio sentire. Siamo esseri con il dono di un corpo che ancor prima che arrivi alla mente si fa sensazione. Il flusso del sangue cambia ritmo, il respiro mi si fa più lento, la pelle si rilassa, gli occhi si aprono come finestre a primavera. E arriva la consapevolezza dei sensi: il primo a giungere è l’odore, il senso animale più antico nel nostro cervello. E’ un odore di terra, di residui vegetali, animali, come un odore di bosco ma più complesso. Mi calma mi accoglie, qui sono al sicuro.
Mi guardo intorno: colori, forme, immagini materiche di un mondo vegetale e minerale dove i colori della terra si mescolano a sentori di mare verde, foglie, azzurro, ci sono le stagioni, ci sono nascite e viaggi. C’è un Tutto che appaga il nostro Corpo-Mente-Anima.
Qui si può meditare, pensare, raccogliere le idee. E` come essere nella propria casa interiore, in quelle immagini astratte piene di significati, come nei sogni; è come se potessimo vedere tutto ciò che abbiamo dentro in quel momento. Qui e ora, è il senso del meditare, di esser-ci, di far emergere ciò che è: questa e` la stanza del sentire e della creatività interiore. La musica è molto evocativa, frequenze basse, lente che mi portano a un abbassamento ulteriore della tensione, un rilassamento e un’espansione della coscienza e dell’immaginazione. Questi suoni hanno la stessa funzione dell’odore nell’essere umano: come la Madre che accoglie il bambino o la persona amata quando li abbraccia.
Questo è arte, questo fa l’arte: ci fa sentire quello che non c’è, che potrebbe esserci, un’alchimia tra la realtà interiore dell’artista e l’immaginazione di chi osserva. In questo mondo in cui assistiamo alla malattia della certezza, l’arte può rappresentare l’inaspettato, la cura, l’attività umana più vicina alla completa versione dell’essere umano, una persona che mentre pensa e sente, crea nuove dimensioni del reale. Quello che accade nei sogni. Gli artisti sviluppano dimensioni oniriche e come tali dense di passato, declinato attraverso tecniche collegate al presente storico in un flusso di potenziale futuro.
L’arte inoltre può curare un soggetto contemporaneo dissociato da se stesso e dalle proprie emozioni, suscitando momenti di intensa connessione con ciò che ha davanti, intorno e dentro di sé. L’arte cura la nostra immaginazione, che è “vedere quello che non c’è”, quello che potrebbe esserci, una visione, una interazione, un sentire, una alchimia tra il mondo esterno e il mondo interno. L’immaginazione apre uno spazio del possibile nella verità dell’intuizione, di ciò che non è ancora conscio e diviene il luogo di nascita psichica del futuro possibile in noi e nel mondo.
Jung sosteneva che l’immaginazione è alla base della creatività psicologica, il modo in cui ognuno di noi può rielaborare la propria storia, le proprie sofferenze psichiche inventandosi nuovi modi di essere se stessi pur rimanendo fedeli al nostro nucleo identitario. In questo luogo in cui tutti i sensi sono stimolati il visitatore può divenire soggetto di una performance psicofisica interiore attraverso l’immaginazione e sperimentare una forma di cura di sé.
Con questa opera, Samantha Keil si insinua nel nostro sentire stanza dopo stanza, proponendoci un lavoro immaginativo e poi chiedendocene conto, attraverso un’intervista in cui siamo guidati a elaborare il vissuto, dando parole alle immagini che sono scaturite in noi durante questo percorso. Questo condurci a dare parole alle sensazioni, in una stanza molto simile a quella del colloquio con un terapeuta, mi e` sembrato un elemento di grande novità: un’artista che ci fa parlare della sua opera, che ci mette al centro della sua creazione, ci ascolta con una operazione “anti narcisistica”, se così si può dire, mi trasmette un profondo senso di umanità, di inaspettato, di accoglienza, che al giorno d’oggi è rara nell’arte. L’esperienza di Keil Space è un Dono di Cura. >>
Ringraziamo Rossella Renzini per il racconto della sua esperienza e invitiamo alla visione della sua intervista sul nostro canale YouTube: